martedì 23 luglio 2013

God save the Royal Baby!


"It's a boy!" 

Bando a chi ha sempre detto che non gliene frega niente, che fa commenti strampalati o che non coglie, almeno, il valore storico del momento. 

E' tutto perfetto, in questa storia. 

Kate è la rappresentazione vivente di cosa significhi essere Cenerentola. Che capita ad una su un milione, certo, ma può capitare. Ed è capitato a lei. Ho seguito in diretta tv il matrimonio. Ho pianto, con il singhiozzo, da quando con il padre è salita in macchina a quando Pippa l'ha accompagnata all'altare, a quando, lei e William si sono affacciati sul balcone di Buckingham Palace (io che di Will, da piccola, c'avevo il poster attaccato in camera). 

Sfioro il diabete, il mieloso, lo zuccheroso. Lo so. Ma cosa c'è di male? Cosa c'è di cosi terribile da dirottare la mente - anche solo per qualche momento - su una cosa cosi bella come la felicità di due persone che danno alla luce un bambino? 

Che mi sa, a volte, ci si stringe un po' troppo nel proprio egoismo, nell'invidia verso gli altri e si critica, a priori. Tanto per dire qualcosa. 
Ma prendetela con leggerezza, suvvia! 

Evviva il Royal Baby. 
Evviva Kate, una Principessa moderna che ci fa sperare, anche solo per cinque minuti, che si può davvero trovare il Principe Azzurro. 
Evviva William, che se l'è cavata senza una mamma, che è il classico bravo ragazzo e mica se la spassa tra feste e cavalli, ma si è preso due settimane di congedo familiare dal lavoro. 

Un po' come succede a noi comuni mortali, che non partoriamo certo in una camera da 6mila sterline a notte e che come ginecologo non abbiamo quello di The Queen.
Ma anche nella Royal Family un pizzico di normalità c'è. E io sono felice per loro. Per gli inglesi, che festeggiano un bambino, che scommettono su data-nome-sesso-peso-segnozodiacale, che colorano di blu una città. 

Averla, qualche volta, la loro leggerezza, invece di tante sterili polemiche su tutto, come succede qua. 

Per quell'attesa spasmodica, diventata, in questi giorni anche mia, attaccata a Twitter per avere info in "tempo reale" :-) 

Perchè, i lieto fine, ogni tanto esistono e l'unico divieto è smettere di sperare. 
Sempre. Nonostante tutto. 

God save the Royal Baby! 

martedì 16 luglio 2013

Voglio viverti. Un must.

“Voglio viverti”. 

E’ questo il must dei nostri tempi. 
Non più “Ti amo”, “Ti voglio sposare”, “Per sempre”. 
No. Ti voglio vivere. 
Fa meno impressione, fa meno paura, è una zona d’ombra tra il tutto e il niente, tra la coppia e l’amicizia, fra lo sfiorarti con lo sguardo e metterti una mano dentro i pantaloni.

Perchè oggigiorno chiedere a qualcuno di impegnarsi è come trovare un lavoro per il quale hai studiato, vincere a "Turista per sempre" o incontrare uno con le tasche di Mark Zuckerberg e la faccia di Brad Pitt. 


Il viverti non contempla legami, obblighi, termini. Finchè c'è, c'è. Se poi finisce non puoi reclamare niente. E' una sorta di patto silenzioso, un accordo tra due persone a frequentarsi, conoscersi, amarsi, ma senza convenzioni. Un po' alla hippy. Come piace tanto a me. 
Ma il problema nasce quando qualcuno dei due spera in qualcosa di più.
Accade perchè è umano, necessario, vitale. 

Esistono anche i cinici, sfrontati, quelli che l'importante è segnare la/il tipa/o con cui sono stati manco fossero carcerati con 30 anni di pena da scontare che contano i giorni. 

Spesso succede che uno comincia a sperare, a pensare che dal tacito accordo qualcosa si possa urlare al mondo. Di una semplicità complicata. Un casino nel casino. Una tensione perenne tra ciò che è e potrebbe essere.

Capita anche, molte volte, che per la paura suddetta, appena qualcosa cambia si molli tutto per evitare di buttarsi, di gioire, di soffrire. Insieme. Oggigiorno condividiamo tutto: pensieri, foto, illusioni, speranze, stati d'animo. Ma facciamo fatica a condividere noi stessi con qualcun altro.

Che se ci mettiamo una maglietta con il logo di Facebook o Instagram cambi qualcosa? Mah, potrebbe essere un'idea. 





mercoledì 10 luglio 2013

Io l'amore l'ho visto



Sarà che ultimamente sono più sensibile del solito, ma ieri, vi assicuro amici Principi e amiche Principesse, che so, di aver visto l'Amore, quello con la A maiuscola.
Quello per cui pensi che c'è ancora un motivo per cui sperare, che ti fa venire la pelle d'oca, che ti devi mettere gli occhiali scuri, che sennò sembri una fontana.

Discutevo del più e del meno, in un assolato pomeriggio di metà luglio. In gelateria.
In lontananza vedo arrivare dei bambini che giocano, sorridono, corrono. Invidia, averli i loro pensieri. Poi mi volto e noto un signore di una certa età spingere una carrozzina.
Lo vedo stanco, provato, ha delle rughe profonde sulla fronte e lo sguardo triste, di chi non ride da un po' di tempo. Pochi capelli bianchi e i baffi, che io non so, ma mi fanno tenerezza. 

Sulla carrozzina c'è una signora. Ha più o meno la stessa età. I capelli tagliati cortissimi che ne induriscono il viso. Lo sguardo è perso nel vuoto. Non muove le mani, non gira la testa. E' rivolta verso un punto fisso, con una maglia informe che ne copre il corpo.  

Si fermano alla gelateria. Lui la avvicina ad un tavolino. 
Entra nel negozio e lei resta fuori, sola, un paio di minuti. Poi lui ritorna. Con una coppetta cioccolato e panna. Un solo cucchiaino. Il primo è per lei. La imbocca con delicatezza. Accenna un sorriso. Poi assaggia lui il gelato. Lui la guarda con tristezza, ma con un senso di profondo amore e rispetto. Un solo cucchiaino, a condividere tutto: dalla dolcezza di un gelato di metà luglio, all'amarezza delle difficoltà che devono affrontare. Rimangono circa mezz'ora. Lei non parla, ma lui le accarezza la fronte. Poi si alza. Inforca la carrozzina e se ne vanno.

In quella mezz'ora ho visto l'amore. Che si ci fosse un premio io l'avrei dato a quella coppia di ieri. E non c'è bisogno di considerazioni particolari per capire perchè. Questa è la vera forza del sentimento. Oltrepassare ogni difficoltà, barriera, sfortuna. 
Io li ringrazio quei signori. 
Niente è stato più buono e più bello che vederli sperare e amarsi, nonostante tutto, tra un cucchiaino di cioccolato e uno di panna.